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4 anni di guerra in Yemen. La testimonianza di Caitlin

28 Marzo 2019

“In una guerra senza fine, se vuoi sopravvivere non puoi vivere nella paura”

Con la sicurezza in Yemen che continua a diminuire a causa del protrarsi del conflitto, le condizioni di vita per la popolazione già indigente si deteriorano ulteriormente, con le famiglie che lottano per soddisfare i bisogni di base. Azione contro la Fame rimane in prima linea nella risposta umanitaria dall’inizio della guerra nel 2015. Gli operatori umanitari sono impegnati soprattutto ad alleviare le sofferenze degli sfollati interni e delle comunità ospitanti vulnerabili.
Caitlin Cockcroft, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale e Cure, è una di loro. Condivide con noi la sua esperienza e uno spaccato della vita quotidiana dei suoi colleghi yemeniti.

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Yemen, non una ma più crisi umanitarie

“Dopo un anno di lavoro nella missione yemenita e 10 mesi sul campo tra Sana’a, la capitale nel nord del paese e Aden, la sede del governo e capitale di fatto nel sud, ho appena iniziato a comprendere la complessità della guerra in Yemen e l’impatto che ha avuto e continua ad avere sul suo popolo. La situazione umanitaria nel paese è talmente vasta e di ampio respiro che sembra quasi riduttivo dire che sia la più grande crisi umanitaria del mondo, perché ci sono così tanti livelli di impatto su categorie così varie di persone in tutto il Paese, che sembrerebbe non un’unica crisi umanitaria, ma molte”.

Yemen, una guerra che cambia le persone

“In alcune zone non c’è cibo, in altre la gente non può permettersi di acquistarne. Alcune persone sono traumatizzate da ciò che hanno visto, ascoltato o vissuto. È la stessa storia per tutti, e nello stesso tempo sono tutte diverse. Ogni singola persona nello Yemen, ognuno dei 29 milioni di abitanti è segnato, drammaticamente e irreparabilmente, dal conflitto. I loro mezzi di sussistenza sono stati persi o completamente stravolti. Il loro potere decisionale, la loro indipendenza e autosufficienza sono compromessi. Le loro relazioni, il tessuto sociale e le tradizioni hanno dovuto piegarsi al nuovo stile di vita creato dalla guerra. Il concetto stesso di normalità è cambiato. La nuova generazione di bambini yemeniti, nata durante il conflitto, non ha conosciuto altro che guerra. Il modo di pensare, il prendere decisioni e la salute mentale di ogni persona sono modellate da guerra, che non credo sia qualcosa che potrà semplicemente svanire”.

Yemen, trauma costante

“Ogni volta che c’era un raid aereo a Sana’a, lo staff locale mi diceva “questo è normale, siamo abituati”, e non ci credetti fino a quando non divenne normale anche per me. Quello che ho capito è che il trauma, un trauma costante e inesorabile, può diventare “normale” per le persone, ma ha un impatto sul loro corpo, i loro organi, riaccende ogni volta il loro stress, anche se non ne sono più consapevoli. Mi dicevano che stavano bene, che non se ne accorgevano, che non se ne preoccupavano, che non erano spaventati, ma la loro espressione e il loro sussulto istintivo quando cadeva una bomba mi raccontavano una storia diversa. In una guerra senza fine, se vuoi sopravvivere non puoi vivere nella paura: quindi devi spegnere quella parte del tuo cervello che ti ricorda il pericolo in cui ti trovi”.

Yemen, l’intervento umanitario

“Il modo in cui spiegavano la loro paura era attraverso il bambini, “stiamo bene, siamo abituati a questo, ma i bambini piangono e urlano quando sentono gli aerei. Qualche tempo fa se avessimo sentito gli aerei nella notte, avremmo svegliato i bambini e iniziato a sbattere pentole e padelle nel seminterrato per rendere i rumori un gioco. Ma ora sono più grandi e capiscono cosa sta succedendo e semplicemente piangono e urlano”. La situazione umanitaria nel paese si è deteriorata, naturalmente, da quando sono arrivata. Ma c’è anche una grande rete di organizzazioni non governative nazionali e internazionali che lavorano duramente ogni giorno, tutto l’anno, per assicurare i bisogni di base alle persone nelle situazioni più difficili. Se quelle organizzazioni non fossero lì, ci sarebbe un numero eccezionalmente più alto di morti, feriti e persone che soffrono senza tregua o speranza”.

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