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Zimbabwe: i centri di quarantena diventano focolai di COVID19

4 Agosto 2020

Nel Paese sono stati segnalati elevati livelli di contagio a causa delle notevoli lacune in termini di accesso all’acqua, igiene e meccanismi di protezione e controllo delle infezioni.

All’interno dei centri di quarantena in Zimbabwe stanno nascendo dei veri e propri focolai di coronavirus. Sono stati, infatti, segnalati elevati livelli di contagio a causa delle notevoli lacune in termini di accesso all’acqua, igiene, servizi igienici e meccanismi di protezione e controllo delle infezioni. 

Con un blocco prolungato in tutto il Paese a causa della pandemia, a causa delle limitazioni agli spostamenti e alla chiusura delle frontiere, i cittadini e i residenti sono autorizzati a rientrare nelle proprie abitazioni solo dopo essere stati sottoposti a test ed essere condotti all’interno del centro di quarantena più vicino alla propria residenza, dove hanno l’obbligo di restare per 7-21 giorni conformemente allo Statutory Instrument 83 – 2020. 

Tuttavia, a causa della mancanza di kit disponibili, il primo test viene spesso somministrato diversi giorni dopo l’arrivo. Ciò pone i rimpatriati ad alto rischio di contagio e ritarda, di fatto, la data di completamento della regolare quarantena. Inoltre, i risultati dei test giungono dai 5 ai 13 giorni dopo: questa circostanza rischia di mettere in contatto casi positivi e negativi all’interno degli stessi centri di quarantena. 

«In data 8 luglio, in Zimbabwe, erano 885 i casi confermati di Covid-19, di cui circa l’80% segnalati all’interno dei centri di quarantena. Il numero è aumentato drasticamente nelle ultime due settimane (2.034): i centri di quarantena hanno aumentato, piuttosto che limitato, la diffusione della malattia», ha dichiarato Ariane Luff, direttore Paese di Azione contro la Fame in Zimbabwe.   

Nonostante le procedure promosse dalle autorità nazionali in materia, secondo un recente rapporto dell’Institute of Medicine, solo il 30% dei centri disponeva di strumenti utili per la protezione del personale e il 38% ha riferito che le scorte d’acqua sono esaurite e che le attrezzature per favorire il regolare lavaggio delle mani insufficienti. Per quanto riguarda i test, il 100% dei centri ha ammesso che i risultati giungono in ritardo o, peggio, possono anche non arrivare mai. È stato, infine, complicato assicurarsi gli stessi kit, una circostanza che ha pesato sulla capacità del Paese di effettuare i test in modo efficiente. 

«Le principali lacune sono in gran parte legate alla persistente penuria di risorse che il governo dello Zimbabwe deve affrontare a causa dell’aggravarsi della crisi macroeconomica. Sono gravi le carenze che riguardano la possibilità di usare i prodotti chimici necessari per il trattamento dell’acqua», ha aggiunto Ariane Luff.

Sono sempre più numerose le segnalazioni di rimpatriati che attraversano illegalmente le frontiere per evitare di essere costretti a fare ingresso all’interno dei centri di quarantena a causa delle condizioni e della mancanza di informazioni accurate. Un fattore ritenuto la causa principale del numero esponenziale dei contagi, aumentati del 40% solo nell’ultima settimana.  

Secondo Azione contro la Fame occorre una risposta coordinata per condurre i centri alla normalità in tempi rapidi e per permettere loro di operare con l’obiettivo di ridurre il tasso di contagio della comunità. Le attività in tema di acqua, igiene e servizi igienici, in tal senso, costituiscono, oggi, la priorità. Tuttavia, i finanziamenti per l’intervento sono estremamente limitati e tutte le organizzazioni umanitarie impegnate in zona, come Azione contro la Fame, si affidano attualmente alla riallocazione delle risorse esistenti: ciò significa che si dovrà far fronte alle ad alcune carenze significative fino a quando non saranno disponibili ulteriori risorse. 

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