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Qual è l’impatto psicologico della guerra in Iraq? Lo abbiamo chiesto a una nostra esperta

12 Giugno 2017

“Questa è la prima volta nella mia carriera che assisto a un tale livello di sofferenza della salute mentale. “

 

Qual è l’impatto psicologico della crisi in Iraq?

Dal punto di vista psicologico, l’impatto della crisi è enorme. Alcune persone hanno vissuto per più di due anni sotto assedio. Sono esposti a continue violenze e minacce, ed è quasi impossibile avere una vera e propria vita sociale. Le conseguenze sono gravi per individui, famiglie e comunità. La gente è angosciata; molte famiglie sono separate: alcuni membri sono a Mosul, altri in campi per sfollato oppure sono morti; e a livello di comunità, c’è grande sfiducia tra le persone.

Quali sono i sintomi psicologici che vedete in queste persone?

Principalmente alti livelli di ansia e di paura. Anche i sintomi della sindrome da stress post-traumatico, come problemi a dormire e di comportamento… incontriamo persone che mostrano segni di depressione, altri che hanno pensieri suicidi. Ci sono stati alcuni casi di suicidio nei campi, quando la depressione e la disperazione diventano troppo forti.

Perché interventi nel campo della salute mentale sono importanti in tempi di crisi?

Il supporto psicologico è necessario in una crisi, perché il livello di sofferenza patita dalla popolazione è molto alto. Ora queste persone stanno chiedendo aiuto e non sanno come gestire i loro sintomi: ansia, rabbia, ecc. Alcune persone possono poi diventare molto violente, cosa che ha ovviamente un impatto sul benessere delle famiglie. Lavoriamo anche con le madri e i loro bambini, perché crediamo che certe attività possono contribuire a migliorare le relazioni tra madri e figli e prevenire meglio la malnutrizione.



Qual è stata la strategia di Azione contro la Fame in merito a pratiche di salute mentale e assistenza durante questa crisi?

La nostra strategia è quella di dare il massimo sostegno psicologico a coloro che fuggono da Mosul. Questo è il motivo per cui interveniamo nel campo di Khazer, che è il primo luogo in cui gli sfollati arrivano. Abbiamo pianificato gruppi di supporto psicologico per donne, uomini, ragazzi e bambini, così come sessioni individuali con i nostri psicologi per le persone che mostrano alti livelli di ansia. Quando incontriamo casi psichiatrici, gli accompagnamo dagli psichiatri da Medici Senza Frontiere. Lavoriamo anche nei villaggi a nord di Mosul. Siamo stati la prima ONG a intervenire in questo settore e fornire la prima risposta in Salute Mentale. Ora la nostra strategia è quella di operare all’interno di Mosul, dove i nostri team stanno già lavorando su acqua e servizi igienici.

Quante persone hanno beneficiato di programmi di salute mentale fino ad ora?

Fin dall’inizio della nostra risposta di emergenza nel mese di novembre, 22.000 persone hanno ricevuto una consulenza nei campi e nei villaggi a nord di Mosul. 7.000 persone hanno partecipato a sessioni di consulenza in gruppi, 600 in sedute individuali. Abbiamo inoltre distribuito 1.500 kit per bambini a donne incinte e neomamme.



Che tipo di attività per la salute mentale implementa Azione contro la Fame in Iraq?

Abbiamo istituito tre attività principali: supporto psicologico individuale per le persone con alti livelli di stress, per il quale i nostri psicologi mettono a disposizione 7 o 8 sessioni. Abbiamo anche istituito gruppi di sostegno psicologico per adulti, adolescenti e bambini, con 4 o 5 sessioni in base alle fasce d’età. E, infine, sviluppiamo attività di pratica infermieristica per donne incinte, che allattano o che hanno bambini sotto i 2 anni. Lo scopo di queste attività è quello di rafforzare il rapporto tra madri e figli e prevenire i segni di denutrizione.

Quali sfide dovete affrontare in questa crisi?

Le sfide variano da un luogo all’altro. Nei campi, l’accesso è più sicuro e più facile, ma nelle città a nord di Mosul, ci sono ancora mine, militanti e bombe che cadono molto vicino. La prima sfida per le nostre squadre è la possibilità di accesso. Un altro problema che dobbiamo affrontare è riuscire a trovare psicologi. Il livello di stress nella popolazione è molto alto, e noi abbiamo problemi a trovare abbastanza persone formate per gestire questi casi. Infine, un’altra sfida è ovviamente quella di trovare i finanziamenti.

Che impatto ha avuto questa crisi sulla tua vita?

Quando sono arrivata in Iraq lo scorso ottobre, facevo parte della squadra di emergenza della sede di Parigi. Sono venuta qui per sviluppare la risposta di emergenza e l’attuazione della strategia. Dovevo rimanere solo 6 settimane, ma alla fine ho deciso di restare più a lungo. Questa è la prima volta nella mia carriera che ho assistito a un tale livello di sofferenza della salute mentale.

 

 

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